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domenica, febbraio 26, 2006

 

La laicità e la croce. Una gran confusione ideologica per la sesta sezione del Consiglio di Stato

di Maria Mantello
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L’imposizione del crocifisso nei luoghi pubblici contrasta con il supremo principio della laicità dello Stato? Nessun problema! Stabiliamo per legge che è un simbolo laico. E’ questa la verbalistica acrobazia della recente sentenza del Consiglio di Stato n.7314/2005, depositata il 13 febbraio scorso e relativa al ricorso della signora Soile Lauti che aveva chiesto la rimozione del simbolo religioso cristiano dalle aule del “Vittorino da Feltre”, la scuola di Abano Terme frequentata dai figli Dataico e Sami Albertin.
I giudici della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, non potendo rimettere in discussione il fatto che lo Stato italiano non può essere né tutore, né propagatore di confessionalismo, quello cattolico compreso, hanno tentato di identificare la croce con la laicità. Anzi, di farne l’eccellente emblema della laicità stessa. Un tribunale amministrativo, quale appunto è il consiglio di Stato, non può contraddire infatti le autorevoli sentenze della Cassazione (in particolare 439/2000) e della Corte Costituzionale (in particolare 203/1989), che hanno sempre ribadito che la religione cattolica non è più religione dello Stato, come stabiliva lo Statuto Albertino a cui anche le normative fasciste si rifacevano per l’imposizione della croce in edifici pubblici: scuole, uffici, tribunali, ecc. Quelle stesse normative a cui si richiamano attualmente quanti vogliono oggi rimettere le croci nei locali statali. Pertanto, i giudici del Consiglio di Stato hanno cercato di dare una mano a questi ultimi impelagandosi in tutta una serie di strumentali dissertazioni linguistiche sul valore e il significato della laicità, allo scopo di individuarne nel Crocifisso il supposto simbolo identitario dell’intero popolo italiano.
La laicità, ha sentenziato la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, non è un valore assoluto, ma va interpretata in riferimento “alla tradizione culturale, ai costumi di vita, di ciascun popolo”.
Così, secondo una visione che ricorda la destra hegeliana, è stata riproposta la stantia assimilazione identitaria tra “spirito del popolo” e “religione cristiana”, presupponendo per il popolo italiano un’organicità statuale in chiave cattolica. Teorizzazioni queste che in Italia (non ci stanchiamo di ripeterlo) hanno avuto tanto successo nella dottrina dello stato etico fascista.
Ma torniamo alla sentenza del Consiglio di Stato n.7314/2005, per la quale il simbolo della Croce non è da vedersi in modo univoco, ovvero come simbolo della fede cattolica, perché può assumere diversi significati e servire per intenti diversi in relazione al luogo in cui è esposto. Pertanto, se esibito in un posto dove si prega, sarebbe essenzialmente religioso, ma in una sede non religiosa, come una scuola, sebbene per i credenti continui ad avere questa valenza, per tutti gli altri potrà svolgere una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla professione di fede.
“È evidente –si legge nella sentenza n.7314/2005- che il crocifisso è esso stesso un simbolo che può assumere diversi significati e servire per intenti diversi; innanzitutto per il luogo ove è posto. In un luogo di culto il crocifisso è propriamente ed esclusivamente un “simbolo religioso”, in quanto mira a sollecitare l’adesione riverente verso il fondatore della religione cristiana. In una sede non religiosa, come la scuola, destinata all’educazione dei giovani, il crocifisso potrà ancora rivestire per i credenti i suaccennati valori religiosi, ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo) valori civilmente rilevanti, e segnatamente quei valori che soggiacciono ed ispirano il nostro ordine costituzionale, fondamento del nostro convivere civile. In tal senso il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte “laico”, diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni”.
Insomma, parafrasando il motto “non è l’abito che fa il monaco”, qui l’abito (ovvero il luogo) farebbe il simbolo. E che simbolo! Un Cristo ad uso e consumo del luogo. E non più, come dovrebbe essere (se non altro per rispetto alla fede) un Cristo che rende sacro il luogo in cui si trova.
Ma c’è dell’altro. Secondo le affermazioni di questi giudici: “è del tutto evidente che in Italia, il crocifisso è atto ad esprimere, appunto in chiave simbolica ma in modo adeguato, l’origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei sui diritti, di riguardo alla libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana”.
Una opinione che contrasta palesemente con i fatti storici. Qualche esemplificativa domanda vorremmo porla: Era valore di tolleranza la persecuzione degli ebrei in nome della croce? Compresi i battesimi coatti dei bambini ebrei, i cui echi sinistri sono risuonati ancora in piena shoah? E anche dopo impedendone la restituzione alle loro famiglie ebree? O i roghi degli eretici o delle donne accusate di essere le amanti del diavolo, ovvero le fantomatiche streghe? E ancora: Propagavano la libertà e la valorizzazione della persona anche gli inquisitori (oggi prefetti per la difesa della fede) imponendo stermini ed indici dei libri propibiti? Oppure le bande dei sanfedisti finanziate dal clero? E le scomuniche contro il Risorgimento le vogliamo occultare? Per non parlare dei reiterati anatemi contro la libertà di pensiero in nome dell’appartenenza identitaria all’unica anima cattolica? E poi ancora contro liberali, repubblicani, socialisti, comunisti, mentre si legittimavano massacri e dittature degli “uomini della Provvidenza” in cambio di Concordati? E tutto questo (e ancora tanto altro) sempre in nome della Croce, di cui la Chiesa cattolica apostolica romana si diceva (e si dice) univoca interprete e depositaria?
Ma la Croce, il credente, stando al dettato evangelico, non dovrebbe prenderla su di sé, invece di scagliarla sugli altri, fosse pure attraverso le pareti delle aule scolastiche?
Questa sentenza, allora, sembrerebbe dettata più da un uso ideologico della legge che da una serena applicazione della Legge. Costituzione repubblicana in primis. Una Costituzione che è nata dalla guerra di Liberazione, anche contro chi benediceva i gagliardetti fascisti e nazisti.
Una sentenza che assomiglia più ai virtuosismi linguistici di una summa teologica nella pretesa di ricondurre sempre e comunque ogni cosa (laicità compresa) al principio dell’universalismo confessionale cattolico.
Una sentenza dove la laicità si dovrebbe annegare nella fede al motto di “crocifiggiamo l’Italia”. Per quello che ci riguarda auspichiamo che la Croce resti il simbolo delle fedi cristiane.
E’ dal contrasto con le fedi che sono nate tolleranza e la libertà. In una parola la laicità. Il diritto di credere o di non credere è una conquista della laicità e non deriva certamente dall’imposizione di una Croce che dall’Editto di Teodosio in poi è stata ufficialmente causa di tante carneficine.
Alla scuola l’ardua impresa di educare alla libertà di pensiero e di coscienza. Questo il compito che la Costituzione Repubblicana le affida per la formazione di individui liberi e responsabili. Un compito che alla scuola viene da lontano. Da quando nel V secolo la filosofia greca pose le radici laiche dell’Europa e dell’Occidente nella scelta e nel dubbio.
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Maria Mantello
(docente, pubblicista e saggista. Vicepresidente associazione nazionale del libero pensiero Giordano Bruno)

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