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martedì, febbraio 28, 2006

 

Se godo del libero arbitrio, perchè la mia religione mi impone le sue scelte?

La crisi di identità cattolica stempera nella ragione
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Testimonianza
di Giusy Beccaria
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Sentivo un forte senso di inquietudine mentre mi trovavo a far fronte ad una notevole quantità di pensieri che mi frullavano nella mente e che non sapevo controllare. Era uno dei tanti momenti in cui raffrontando le scelte della vita con i miei saldi principi d’area fortemente cattolica, ne uscivo confusa e sconfitta.
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La mia attenzione, quel giorno, si era soffermata sul concetto dell’amore, dell’infinita capacità di donare, comprendere, aprire, condividere e non riuscivo a conciliarla con la storia di Silvia, privata della maternità che, impietosamente, si sentiva rispondere dalla mia religione che avrebbe dovuto sottomettersi al volere di Dio. Ma come poteva questo dio consentire, con la sua infinita misericordia, che una giovane donna, sana, fresca, proiettata verso il futuro, si sentisse negare la possibilità, che la scienza le concedeva, di vivere una delle esperienze più coinvolgenti della natura?
Amore! Mah!
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Pensavo sconcertata, nel tourbillon dei fantasmi che si paravano alla mente, al pianto sommesso di un uomo che pur rivestendo l’abito talare amava disperatamente, e nell’ombra, quella donna che da venticinque anni gli era con discrezione al fianco. Eppoi ancora, pensavo a Giovanni. Mi aveva confidato quella mattina, quanto desiderasse essere felice. Dalla morte della moglie l’unica gioia era stata quella dell’incontro con lei, divorziata da venti anni, alla quale non sapeva rinunciare per potersi riconciliare con dio.
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O a Piera, che doveva attendere che il marito scegliesse di andarsene per non trovarsi nella condizione di aver “innescato” la separazione e quindi la sua condizione di peccatrice.
Amore!
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O a Claudio che, con due figli e un matrimonio annullato grazie alla sacra rota, poteva sposare l’altra sull’altare malgrado l’ordine: “non separi l’uomo ciò che Dio unisce”.
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Queste ed altrettante domande in un vortice senza fine fino a sfiancarmi nell’ultima di esse: come mai, se godo del libero arbitrio, la mia religione mi impone le sue scelte, per non essere considerata dalla stessa un’appestata, di una peccatrice destinata a perire nella profondità dell’inferno?
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Perché? Perché devo temere dio se dio è Amore?
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Ripercorrevo le tracce della mia fede, dell’educazione ricevuta e della mia appartenenza alla religione cattolica e non mi identificavo più. Com’era possibile che questo soffio di una nuova e fresca percezione, invadendomi, mi facesse sentire bene come mai avevo provato prima?
La realtà quotidiana era la difficoltà del vivere di ciascuno di noi nella sofferenza, nel dolore, nella gioia, nel godimento, nell’appagamento. Questo dio di misericordia mi obbligava ora a soffrire per star bene dopo, a conclusione della mia vita? Perché non combattere ora il dolore, la sofferenza? E perché mai non godere dei piaceri della vita e dell’appagamento, soffocando gli istinti di cui madre natura ci ha dotati andando contro la natura stessa?
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Perché dover seguire pedissequamente dettami fuori del tempo, dello spazio, dell’era di appartenenza, in nome di una religione che frena la natura, lo sviluppo, la scienza. Perché tollerare di dover rispettare un ordine religioso precostituito che continua a imporre fardelli pesanti agli altri ma se ne guarda bene dal portarli? impone ma non soggiace, si erge a predicatore dal pulpito ma vive nell’opulenza andando contro tutti i precetti della povertà, pretendendo pure l’obolo dalla pensionata con quattrocento euro al mese?
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Avevo ascoltato indignata, qualche tempo prima, l’ennesima richiesta del predicatore di turno che rimproverava dal pulpito, per non aver ricevuto, durante la quaresima, il venti per cento di quanto percepito mensilmente da ciascuno dei presenti, che per questo sarebbero stati attesi nel confessionale. Ricordavo, il forte contrasto tra il desiderio di urlare “infame” e la mia silenziosa rabbia.
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Ma perché dover continuare a credere in “poveri” uomini portatori di dogmi assurdi e fuori di ogni realtà quando la mente è portata a credere in uno spirito che aleggia nell’uomo e ne permea la natura senza ostacoli, impedimenti, astrusità?
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Ero catechista ma il vortice delle domande non mi davano più pace. M’impedivano di proseguire nella mia “missione”. Sentivo la mia mente ribellarsi, sdoppiandosi ormai in un ragionamento continuamente confutato e respinto. Le considerazioni sulla realtà quotidiana, con prediche, orazioni, celebrazioni venivano sottoposte a revisione.
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L’apice di tutto questo tumulto interiore era stato l’incontro con un abito talare che affermava di non credere più alla chiesa e mi consentiva, interiormente, di dare un senso e una misura alla realtà che mi circondava.
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Com’è possibile che una religione che sostiene principi quali amore, povertà, perdono, si sia macchiata da tanta inaudita violenza con azioni o omissioni, accondiscendendo tacitamente al male di migliaia di guerre ingiuste, dove milioni e milioni di innocenti hanno subìto torture, stupri, violenze di ogni genere? Perché l’accumulo di ricchezza; perché la vita vissuta nell’opulenza?
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Com’è possibile altresì che possa quietare la propria coscienza e dichiararsi coerente solo a parole? Posso accettare questa dottrina che ritengo ormai anacronistica socialmente e storicamente? Posso credere nei suoi dogmi creati a tavolino? Una vergine che partorisce un figlio e rimane illibata pur restando col marito per tutta la sua vita coniugale, e che, infine, sale al cielo anche con il proprio corpo? O posso credere nella divinità, dichiarata tale a tavolino nel 323 d.c. per un uomo che per questa gode “di una doppia natura, umana e divina”? Posso credere in un dio – cristo la cui storia coincide con quella di Osiride – nato il 25 dicembre, da una vergine, morto e risuscitato dopo tre giorni e via discorrendo?
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Stavo prendendo coscienza di una crisi in corso ma non mi davo per vinta. Combattevo con me stessa non potendo tollerare un cambiamento a trecentosessanta gradi. Ma la mia lotta, al momento, era impari a mani nude. Avevo rispettato fino all’età adulta di tutti i dettami della mia religione, ne avevo assorbito i principi e avevo dato applicazione all’indottrinamento incontrollato, ma ora sentivo che, via via che mi affacciavo ad un nuovo modello di vita, un nuovo senso di liberazione ed emancipazione rendevano la mia mente aperta a nuovi orizzonti, scevra da preconcetti o pregiudizi di sorta.
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Vedevo, in questa nuova ottica, innanzitutto, la sofferenza di una umanità mutilata della libertà di pensiero, di azione, di progresso; mi continuava a frullare in testa il concetto del “potere mondiale di controllo della mente” che, un amico libera-mente mi aveva suggerito, ed aveva aperto un varco nel mio orizzonte.
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Ero dunque lì che rispondevo alle domande di Giulia, cattolica in crisi come me, che non riusciva a coordinare la dottrina con la fede, l’ordine religioso con i principi del cristianesimo, e mi faceva comprendere quanto la mia realtà fosse attuale anche per lei. Scoprivo di condividere con Antonio, già attivista cattolico, lo sconcerto per l’inganno, il raggiro e con Elena, la collega, anche lei ora cattolica in crisi, lo sgomento, la rabbia, il rifiuto. Cercavo di capire cosa stesse mai capitando a tante persone, contemporaneamente, in uno stesso ambiente e se la crisi non investa, invece, un numero di persone di gran lunga maggiore ed in ambienti assolutamente diversi.
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Una situazione di tal fatta mette in discussione tutta la vita di una persona. Alla nuova luce vengono rivisti rapporti sociali, intellettuali, affettivi… tutto viene sottoposto al vaglio implacabile della razionalità, della logica, della coerenza. L’individuo è sottosopra. Si va alla ricerca istintivamente, nella cultura contemporanea, di qualche autore che possa aiutare a chiarire se stessi, oppure qualche saggio, o qualche persona che conoscendo retroterra culturale sappia elargire qualche consiglio, per scoprire infine che, l’esperienza di ciascuno è esclusivamente personale.
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Vaghi alla ricerca di te stesso, rifiutando ogni preconcetto, ogni dottrina, ogni imposizione nozionistica. Vuoi essere tu l’artefice del tuo cambiamento che sai essere irreversibile. Guardi alla cultura storica della tua nazione e riesci ad intravederne le contraddizioni, le incoerenze, lo strapotere temporale, legato indissolubilmente al potere economico che lo ha fagocitato.
Tutto transita da esso: i rapporti umani, sociali, politici, scientifici.
Tutto sotto lo spietato potere temporale economico.
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Ma mentre assisti ribelle alla tua nuova condizione, razionalizzi di respirare aria ricca di ossigeno nuovo. Stai aprendo gli occhi su una nuova umanità fin’ora sconosciuta, quella di una mente illuminata che percepisce la propria interiorità vibrare al battito di una nuova esistenza senza limiti imposti se non dalle scelte di vita che ha voluto per te stessa. Senti di appartenere a quella straordinaria armonia che viene dalla dolcezza della natura, dove, immergendoti, finalmente percepisci la presenza della vita, quella da cui, realmente, desideri non volerti più separare. E, ti senti libera mente.
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Giusy Beccaria

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