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lunedì, giugno 26, 2006

 

Riappropriamoci della nostra identità di esseri umani pensanti

di Fabio Milani
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Testimonianza
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Nella seconda metà degli anni ’60, nascere in una piccola cittadina di provincia da genitori di cultura media significava nella pressoché totalità dei casi, essere battezzati e crescere secondo i dogmi e la morale imposti dalla Chiesa Cattolica. Le condizioni economiche non particolarmente agiate di un’Italia ancora in fase di sviluppo da boom economico, non permettevano ad un genitore di potersi assentare dal lavoro per poter seguire la prole, tanto meno di poter ricorrere a strutture private di taglio laico che potessero assicurare ai propri figli un’adeguata sistemazione durante le ore lavorative, non essendo a quel tempo, ancora particolarmente sviluppati i sevizi sociali statali (che comunque non sempre, anzi quasi mai riuscivano a mantenere la propria identità distaccata da un’impostazione di tipo cattolico). Per questo si ricorreva all’ausilio di strutture ed associazioni di taglio religioso, dove chiaramente gli ospiti venivano “formati” secondo i rigidi dettami delle leggi “divine” ed adeguatamente indottrinati.
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Questo, in linea di massima, è il quadro generale della mia infanzia, tutt’altro che infelice, ma decisamente significativo per quanto concerne la mia formazione psicologico-culturale. Per mia fortuna a quel tempo lo sviluppo anche a livello urbanistico delle città come quella in cui sono nato permettevano ancora ai bambini, ragazzi ed adolescenti di poter giocare nelle strade o nei cortili senza dover necessariamente ricorrere a strutture rigidamente organizzate come collegi o oratori. Pertanto, esclusi i tre anni di asilo dalle suore (soggiorno peraltro abbastanza scioccante, dove l’amore predicato contrastava palesemente con i metodi repressivi piuttosto “fisici” utilizzati), mi sono sempre ritrovato a giocare per strada con i miei coetanei, senza dover subìre l’indottrinamento forzato imposto dalle regole di convivenza dettate dagli oratori durante gli anni che vengono reputati più “pericolosi” per quello che riguarda il condizionamento (tra i 5 e i 10).
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A proposito dei metodi discutibili utilizzati dalle suore mi ricordo ancora oggi come un mio sfortunato compagno di asilo fosse stato legato alla sedia per mezza giornata perché troppo vivace o di un altro al quale fu incollata sulla propria lingua una finta lingua di carta colorata rossa, perché colpevole di aver parlato troppo o quell’altro al quale furono fatti mangiare dei gessetti da lavagna per essersi permesso di utilizzarli senza il consenso delle “sorelle”. Nonostante tutto era logico che la cultura Cattolica avrebbe per un periodo avuto la meglio su di me, anche se, per mia fortuna e senza una apparente spiegazione logica, ho sempre vissuto il tutto con un certo senso di imbarazzo o quantomeno di disagio rispetto a quanto mi si voleva far credere. Dopotutto io non ho mai provato nessun trasporto mistico verso una qualunque divinità, non provavo nessuna delle sensazioni che mi si diceva avrei dovuto provare, non sentivo nulla di particolare succedere in me ed uscivo dalle funzioni, dagli esercizi spirituali imposti, dalle novene e dalle Messe, esattamente nello stesso modo in cui ero entrato, non mi sentivo assolutamente purificato dalle confessioni, durante le quali tra l’altro non mi sono mai nemmeno sognato di raccontare le mie vicende più intime (e perchè mai avrei dovuto?). Tutto questo in effetti iniziava a far nascere in me dei forti dubbi e a formare il mio carattere da contestatore che mi avrebbe accompagnato da quel momento in poi. Ma per il momento la grande cappa Cattolica continuava a pesare su di me tant’é che dai 13 anni in poi iniziai a frequentare assiduamente l’oratorio, non tanto per convinzione ma quanto per mantenere le amicizie che iniziavano a frequentarlo o i compagni di scuola che lo avevano sempre frequentato e che io non vedevo se non durante le lezioni proprio a causa della mia assenza da certi luoghi. Questa frequentazione durò inspiegabilmente (alla luce della mia attuale condizione atea) diversi anni, divenendo sempre più solida, alimentata da un mio interesse per la musica che riuscivo a coltivare all’interno del gruppo in maniera abbastanza soddisfacente.
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Nonostante questo coinvolgimento piuttosto marcato, la mi vena contestatrice non si placava e continuavo a pormi dei dubbi che non venivano minimamente dissipati nel momento in cui azzardavo delle richieste di chiarimenti ai sacerdoti con i quali ero in stretto contatto. Anzi, il tutto si faceva sempre più nebuloso a causa delle risposte letteralmente evasive e fuorvianti che rimandavano le ragioni dei miei dubbi a discorsi basati sulla fede (cieca) e sul “ perdere la corretta via”. Il lato dolente di tutto ciò era particolarmente rappresentato dal fatto che purtroppo i miei compagni erano pressoché totalmente schierati dalla parte della Chiesa ed iniziavano a vedermi un po’ come la pecora nera del gruppo, il contestatore, quello “strano”, mentre io vedevo crescere dentro di loro il tarlo del senso di colpa, che li rendeva lentamente ma incessantemente schiavi della morale distorta alla quale facevano continuo riferimento ed alla quale venivano costantemente richiamati.
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Non ci volle molto per farmi sentire completamente fuori luogo, disadattato e se in un primo momento questa condizione di “outsider” poteva anche essere fonte di una piacevole sensazione di non appartenenza ad una filosofia nella quale non mi riconoscevo, presto divenne causa di disagio, di inadeguatezza e senso di rifiuto da parte degli altri (alla faccia dell’amore fraterno incondizionato). Chiaramente per me sarebbe stato masochista e ipocrita continuare a frequentare la Chiesa e le sue contraddizioni.
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Così non fu per molti altri, purtroppo.
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Nell’età adulta, cambiate le amicizie e gli ambienti, sono comunque rimasto in contatto con alcune persone che ho continuato a reputare valide al di là delle proprie convinzioni religiose e devo dire che ho tristemente avuto modo di verificare che quanto da me percepito e temuto si era palesemente manifestato. Il senso di colpa aveva lavorato profondamente ed il risultato di questo lavoro era adesso sotto i miei occhi: coppie forzatamente legate tra loro da vincoli tutt’altro che sentimentali, sessuofobia diffusa, cure psichiatriche e/o psicoterapeutiche votate all’eliminazione di sindromi scaturite da repressioni di varia natura, rapporti sentimentali devastati dal fanatismo religioso.
“Eppure”- continuo a domandarmi – “sono persone intelligenti, hanno una certa cultura, quasi tutte hanno avuto modo di beneficiare di una preparazione universitaria ed hanno successo in campo professionale. Come fanno a non capire? Come fanno a considerare infallibile un uomo che si permette di giudicare con frasi razziste la qualità dell’amore, che opera distinzioni tra i sessi, che si domanda - egli stesso, capo della Chiesa - dov’era il suo Dio mentre la Chiesa stessa chiudeva gli occhi davanti agli stermini dell’olocausto? Come fanno a non capire che una persona alla quale è stata data una gigantesca valenza comunicativa non si può e non si deve permettere di lanciare dei messaggi minacciosi contro l’uso dei profilattici? Come fanno a non comprendere che sono azioni che vanno contro la stessa morale che pretenderebbero di insegnarci?”
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Purtroppo il triste segreto che cela la risposta a questa domanda è da trovare nei meandri dell’inconscio, in quella parte di noi che viene malamente condizionata in un’età nella quale siamo pressoché indifesi ed assorbiamo come spugne le imposizioni impartite attraverso violenze psicologiche perpetrate da chi si professa fonte di libertà, baluardo del bene, amore e comprensione.
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Possiamo reagire, dobbiamo reagire, riappropriarci della nostra identità di esseri umani pensanti.
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Nella foto, l’artista Fabio Milani
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